Chissà cosa ha dato ad Alfonsina Morini la sicurezza per sfidare tutti, ma proprio tutti, nel lontano 1924 quando ha corso il giro d Italia.
Strana era sempre stata strana: cresciuta assieme a otto fratelli, era quella che usava più di tutti la bici. E che appena adolescente diceva di andare a messa e andava a correre le gare. Ciclista clandestina.
La bici, la bici era l’argomento di cui parlava in continuazione, più noiosa degli uomini. Fosse stata un uomo, l’avrebbe sposato questo sport: e in effetti sposò Luigi Strada, meccanico che incoraggiava questa sua passione, e il matrimonio avvenne quando l famiglia la mise alle strette: una ragazza non maritata che corre non si è mai vista, se proprio ci tieni dovrai uscire di casa. Detto fatto.
Così Alfonsina, appena sedicenne, va a vivere a Torino, città che sembra offrirle più opportunità. Ci sono molte gare a cui può partecipare:beninteso, gare per donne. Dopo un po però inizia ad annoiarsi :sono corse seguite poco, guardate con sufficienza. Non è che diano molta rispettabilità.
È allora che, ancora una volta, segue il percorso più difficile: corre il Giro di Lombardia 1917 (9 giorni dopo la disfatta di Caporetto), arriva ultima ma pedala su tutti i 240 km di percorso. E disputa anche il Lombardia 1918.
Intendiamoci, non si inserisce con così tanta decisione in cose massimi per principio o perché creda nei valori femministi:il fatto è che sa di essere brava e vuole che le venga riconosciuto. Non è essere da meno di altri.
E inizia a scrivere agli organizzatori del Giro, che non prendono neanche in considerazione una richiesta così assurda, neanche gli anni dopo, quando ricevono altre lettere: finché nel 1924 il rischio di non aver abbastanza partecipanti al voto di fa concreto.
Cos’era successo? Sempre più partecipanti avrebbero voluto ricevere una compensa in denaro e decidono di boicottare l’evento. Nessun campione iscritto.
Scrive Battistuzzi per Il Foglio:
“E così Armando Cogne, primo organizzatrice del giro, ha l’idea giusta: accettare la domanda di quella strana donna che ama la fatica, quell’Alfonsina che da anni lo assilla di lettere. Cougnet è un conservatore, gliene frega poco dell’emancipazione femminile e cose del genere, ma sa che di Alfonsina non si potrà non parlare”.
L’identità dell’emiliana viene tenuta segreta sino a pochi giorni dal via. Nell’elenco dei partenti, al numero 72, si legge “Strada Alfonsin”.
Racconta Gialanella che la presenza di Alfonsina suscita entusiasmo, la sua popolarità supera quella dei campioni. Il suo Giro è un’avventura. Nell’ottava tappa, L’Aquila-Perugia, 296 chilometri, le si rompe il manubrio, e allora lo sostituisce con mezzo manico di scopa e un po’ di spago. Arriva a 4 ore dal vincitore Enrici, la giuria è inflessibile, la mette fuori corsa, ma interviene il direttore della Gazzetta, Colombo: Alfonsina può continuare il Giro, ma fuori classifica. E riesce a concluderlo.
Dopo il giro vinse 36 corse contro colleghi uomini. A quasi 50 anni, nel 1938 a Saint Germain stabilisce il primato mondiale femminile di 12 ore. La sua ultima gara è invece nel 1956, a 65 anni, una corsa per veterani in un circuito a Nova Milanese, vinta da lei.
Alfonsina muore a 68 anni, dopo aver aperto il proprio negozio per la vendita e la riparazione di biciclette.
Non era un’eroina, solo una grande testarda che non aveva intenzione di farsi scoraggiare dai pareri avversi. Che poi è quello che fanno le persone strane: vanno contro l’opinione corrente, seguono un progetto in cui credono: e nel tempo che ci mettiamo a comprendere la loro direzione, hanno già tagliato il traguardo avanti a noi.
Ilaria Arghenini