Che fantastico giro in bici è la vita

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Simoncini

Di Eugenio Simoncini

La prima volta che ho pedalato senza ruotine eravamo tutti nel parcheggio della fabbrica, mio nonno mi teneva per il sellino dell’anima bmx. Ricordo ancora quando andammo a comprarla a Empoli, in treno, ed io mi sorpresi perché non me l’aveva fatta mio babbo. Mi spiegarono che quelle che facciamo noi sono per chi già sa andare in bici, e mi venne una spinta di orgoglio per imparare bene e il prima possibile.

Durante i primi allenamenti, ero solito girare intorno ad un gruppo di palazzi della zona industriale. Non ne capivo il senso. Poi, nella pista di atletica di Castelfiorentino, sconnessa e sassosa, sono sicuro che fossi quello che andava più piano. Da quel momento, iniziò ad accompagnarmi quel fantasma che è ancora con me: la paura.

La prima volta che sono caduto con la bici da corsa, sempre sugli 8/9 anni, stavamo girando con mio babbo in una strada (all’epoca…) non molto trafficata. Adesso ci sono una rotonda e l’ingresso della nuova statale in costruzione, meno galline, meno ulivi. Lui mi disse di provare a fare una volata, e che mi avrebbe dato un po’ di vantaggio. Pedalai un po’ più forte, girai la testa e chiesi: “Così?” No, ancora un po’ più di vantaggio. “Così?” ma mi girai troppo con la testa, persi l’equilibrio e caddi a pera. Il casco in polistirolo integrale (odiosa invenzione dei ’90! A me piaceva quello areato di babbo, che ora chiamano ‘vintage’) si spezzò. Ricordo la paura ma non il dolore.

Senza saperlo, imparai che una volta caduti, se ci si fa, si torna a casa da soli.

La prima volta del ciclismo in TV non la ricordo. Ricordo la telecronaca ma non le immagini. “Babbo, che c’è di bello che sei appiccicato alla tele?” “C’è Chiappucci che sta insegnando a Indurain come si affronta una corsa.” Da allora cercai sempre di vedere cosa faceva questo Chiappucci.

Le prime immagini di ciclismo in TV però sono più chiare. Giro d’Italia 94, il babbo che dice “Cavolo questo gregario di Chiappucci ha vinto ieri e oggi sta sconvolgendo il Giro!”. Ma è vecchio? No, si possono perdere i capelli anche da giovanissimo, e poi pedali con le gambe.

Segue un periodo di noia. L’adolescenza è il rifiuto di tutto. In bici solo in mtb per esplorare. Solo dopo un po’, il ritorno su strada.

Simoncini-bicicletta

Il “giro di Rosia” era qualcosa di mitico, ne avevo sentito parlare milioni di volte. La prima volta che ebbi l’onore di farlo, la ricordo ancora, quasi in ogni particolare. Ovviamente con mio babbo.

Stai dietro e non tirare mai, che è lungo.

Non fare il bischero nelle salitelle.

Questo è il Pian della Speranza, qui si aumenta la media.

Da qui in poi non siamo più in val d’Elsa. Guarda il nostro fiume nasce lassù.

Dietro quei poggi c’è Siena.

Ora riempi bene l’acqua che la metà l’abbiamo fatta.

Circa 120 km in tutto, che lì per lì non mi sembrarono assurdi, mitici, ma lo diventarono e lo sono ancora.

Ho imparato a dosare le energie. Ad apprezzare il paesaggio anche con gli occhi pieni di sudore.

Una delle ultime volte che sono uscito in bici con mio babbo, è stato lui tutto il tempo a ruota. Mi guardava stranito mentre tiravo a 40 km/h e cantavo Space Oddity a voce alta.

Eravamo andati ancora nel Piano della Speranza, dove va sempre appena il tempo lo permette.

Ho imparato da lui a cercare le strade senza auto, non per poter tagliare le curve ma per assaporare la bici, la strada e la natura.

In pace. Andare lontano solo per poter stare in pace. E quella “media” che nomina sempre?

Non è un rincorrere la velocità, non è una sfida con gli altri, ma una sfida con se stessi. Migliorarsi, nonostante le condizioni ambientali, nonostante il tempo che passa.

Simoncini

Adesso sono qui con mio babbo, tra poco lo dimetteranno. Sarà difficile vederlo di nuovo in bici dopo l’ictus di qualche giorno fa, devo essere realistico, ma tutte le volte che si affronta una salita si è realistici nel pensare di arrivare in cima.

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