Un imprecisato giorno di Novembre 2017.
Sono su messenger che cazzeggio con Danilo Mola, uno dei Ciaparatt, che mi fa:
“Oh, ma te la vieni a fare la To.Pa a maggio?” (Voce interiore: ahhh, è un’occasione unica. Meglio prendere il controllo e fare i biglietti prima che quel deficiente di Peppino mandi in malora anche questa possibilità di avere una donna!).
Cinque minuti dopo mi trovo con due biglietti di A/R per Milano per partecipare alla ToPa 4U. Sì, perché quello che il demente (sempre Peppino, eh) non sa che Danilo con ToPa non intende il gentil sesso, ma la manifestazione ciclistica che i Ciaparat organizzano annualmente. Nome ambiguo, vero, ma da un gruppo che si fa chiamare Ciaparat, vi aspettate serietà?
Resto comunque positivo perché darò una voce a quei personaggi che ho conosciuto solo tramite Facebook… E dico voce perché, ahimè, le loro brutte facce le conosco già (Lele, Fabio, sto parlando soprattutto di voi).
Il mondo del gravel è veramente un’altra cosa: sin dal mio arrivo a Milano, sono tutti disponibilissimi, e mi procurano pure una biga!
Il giorno della ToPa ho appuntamento alle 5.00 del mattino da Novobike dove una parte di noi partirà in macchina per raggiungere il punto della partenza.
Non ho mai partecipato ad un evento ciclistico, e la cosa mi spaventa un po’. Non sono abituato a seguire ed essere seguito per 100 e passa km!
Sin dalla partenza, so già che formeremo un gruppo: con Fabio ho una singolar tenzone a suon di birra, e ci sono quelli che vogliono assistere.
Il gruppo formato sembra uscito da un anime giapponese: c’è lo smilzo, il ciccione simpatico, il dottore, la donna del gruppo, il piccolino guizzante, il vecchietto rampante, il demente ed il protagonista assoluto: io (… Ed il demente: Lui!).
Si parte!
Doc prende la testa del gruppo, e già che c’è prende pure in pieno una catena che sbarra il primo tratto di campagna che non vede se non all’ultimo minuto: non cade, ma si prende uno bello spavento. Siamo manco a 10 km e già il primo incidente (e non capisco come non sia io!).
Da lì, sino all’abbazia di Morimondo, sarà una piccola ecatombe che sembra dover emulare il film HIGHLANDER, ovvero
ne resterà soltanto uno!!
Infatti pochi km più in là, nel tratto di singletrack in un bosco, Patti non vede un residuo di tronco di una decina di cm che spunta dal terreno; volo della nostra stella che però resta, escoriazioni a parte, illesa.
Io ormai comincio ad avere una certezza: il prossimo sono io. Ed invece no.
Siamo un bel gruppo e, quando ci allarghiamo, c’è sempre qualcuno che aspetta.
Sono in coda, dietro di me solo Lele, ma ad un bivio c’è Fabio che aspetta; faccio cenno di proseguire, ma lui dice che aspetta Lele.
Ma io avevo controllato pochi secondi prima: è impossibile che Lele non sia dietro.
Capisco subito che qualcosa non va.
Fabio raggiunge il gruppo per dire di rallentare; Davide viene a ritroso con me.
Dopo un po’ notiamo un gruppo di bikers che fanno un cerchio, ed io lo so già: Lele è caduto.
Per fortuna passa di lì, in mezzo al nulla, una coppia che vive da quelle parti. Gentilissimi, si offrono di portale Lele e la sua bici col Pick-up all’ospedale.
Sarà una delle poche cose spiacevoli che accadranno in questa giornata. Contattiamo gli altri che decidono di raggiungerci e per capire il da farsi ma, essendo in campagna, l’operazione richiede più del previsto.
Io e Davide siamo in un bellissimo campo di grano a perdita d’occhio. per fortuna ho portato il mio disco volante per la musica: in gravel non ci si annoia mai…
Tutte persone serie alla topa (ma con un nome così….
Pubblicato da Peppino Cirello su domenica 13 maggio 2018
Una volta raggruppati, avendo perso troppo tempo per gli incidenti vari, decidiamo di proseguire fino a Morimondo e di tornare direttamente al punto di partenza/ristoro per quattro chiacchiere con i Ciaparat.
Mancano circa 30 km per l’abbazia e noi siamo ancora 0 birre: qui si rischia di non raggiungere la quota minima del suddetto nettare per un giro che è definito gravel!
Così decidiamo di fare una breve sosta al baretto del ponte di barche che, devo dire, mi affascina parecchio.
Ripartiti, proseguiamo facendo staffetta in testa, fino a quando non si intravede Morimondo: ed allora scatto, che Sagan levati via che ti svernicio!
Prendiamo un paio di birre (io quattro) ma mangiare lì non è cosa, cosi ci spostiamo in un chioschetto a un paio di centinaia di metri; ha dei problemini, e praticamente non serve quasi nulla, ma la birra c’è, ed io comincio a darci dentro.
Fabio segue a ruota, e via via tutti gli altri, ma io ho un enorme asso nella manica: vivo in Belgio, dove la birra viaggia sui 7/8 gradi alcolici, qui è tipo 5… Quindi vado veloce, e costringo gli altri a fare altrettanto. Diabolico!
Finito il pranzo, settiamo i Garmin per tornare al punto di partenza, ma i dispositivi indicano 5 strade diverse.
Un po’ alticcio, decido di portarmi al comando e di fare strada ma, giustamente, nessuno mi segue e quando mi giro gli altri hanno imboccato a sinistra sui campi circa 500 mt prima.
Dato che li vedo, dico di proseguire e cerco di proseguire anch’io da una stradina parallela, ma dopo qualche minuto la natura mi ferma – No, non lo fanno i rovi che mi pungono pure il coccige, ma un canale.
Mi fermo e chiamo gli altri, dicendo di non aspettarmi e che ci si rivede al ritrovo.
Come ciclista valgo mezza sega, ma come interprete del Garmin sono piuttosto bravino: zoom out e si prosegue a naso…
E si prosegue pure bene, visto che arrivo al punto stabilito con una decina di minuti di anticipo sul gruppo, ma soprattutto giusto qualche attimo prima inizi un acquazzone!
Con grande piacere ritrovo Lele, ferito nel corpo (braccio ingessato), ma non nello spirito: birra in mano e sigaro!
Nel frattempo arrivano gli altri: si prende un panino, un altro paio di birre, si ride e si scherza. La mia sfida birrifila con Fabio mi vede in testa ma non ancora vincitore, così sfodero l’arma segreta: bottiglia di birra da 0,75 Grand Cru da ben 11 gradi alcolici! Fabio sfodera bandiera bianca, e con essa decidiamo di fare armi e bagagli.
Una giornata fantastica, passata in mezzo a gente che tecnicamente è sconosciuta, ma che in fondo conosco da sempre…
Perché il gravel è una famiglia da internare (e buttare la chiave), ma pur sempre una famiglia!
Peppino Cirello