Abbiamo intervistato Maurizio Barbolini, l’organizzatore della nuova competizione per gravel Transdolomitics, che si terrà a giugno, e abbiamo scoperto che la passione per la bici può nascere nei modi più impensabili: anche da un legamento rotto.
Transdolomitics: chi l’ha ideata?
L’idea è nata da me. Si tratta di una corsa in gravel che passa per Trentino, Alto Adige, Lombardia, Veneto e Friuli Venezia Giulia, e che prevede 1100 km di percorso ad anello per 23.500 metri di dislivello (inizialmente contava 200 km in più di quanto è ora, ma poi l’ho accorciato per motivi logistici: un percorso così esteso avrebbe richiesto ai partecipanti una disponibilità di tempo e denaro troppo ingente).
Quanti gravellisti ti aspetti?
La Transdolomitics è alla sua prima edizione, quindi non lo so di certo, ma avendo già organizzato la Randolomitics, che è un percorso di quasi 500 km, conosco persone che potrebbero interessarsi tranquillamente anche a questa competizione.
Nel tempo, il numero di partecipanti agli eventi che organizzo qui sulle Dolomiti è cresciuto: dai 20 iscritti del 2013, sono passato ai 220 del 2017. Per quest’anno ne prevedo 350.
Di solito chi partecipa a queste competizioni?
Per la maggior parte sono ex granfondisti, che ultimamente si stanno interessando anche al mondo gravel. Questa è una tendenza che noto nel territorio italiano. All’estero gare come la Transdolomitics sono già più conosciute e partecipate.
È una gara per chi ha uno spirito agonista insomma…
Sicuramente! Quest’anno abbiamo ottenuto una partnership con Redbull, e chi vince la competizione si porta a casa il tricolore.
La Transdolomitics non è solo una gara, ma un’esperienza assolutamente unica: oltre ad attraversare la gran parte delle Dolomiti, che è tappa obbligatoria per chi fa ciclismo, si passa dallo Stelvio, dal monte Grappa e dalle tre cime di Lavaredo, che sono pietre miliari del ciclismo.
Il territorio è sicuramente uno dei punti di forza.
Oltre a ciò durante l’evento verrà girato un docufilm che accompagnerà gli atleti durante il percorso.
Ma per i partecipanti qual è l’elemento indispensabile da portarsi dietro?
Sicuramente la voglia di far fatica e la determinazione necessaria a resistere ad una crisi.
Un percorso come questo può mettere in difficoltà anche i gravellisti più allenati…
Sì! Le prime crisi sono quelle fisiche, che arrivano dopo i 300/400 km. Ma le peggiori sono quelle psicologiche, soprattutto tra le 3 e le 5 di mattina. Quello è il momento più critico ed è anche il lasso di tempo in cui succedono più incidenti. Quindi, bisogna armarsi di tanta concentrazione e allenarsi!
Pensi sia una gara da fare più in solitaria o in branco?
Beh, io vivo in una zona [Trentino,ndr] in cui il ciclista tende ad uscire da solo, ma il motivo mi è oscuro ancora oggi.
A me piacerebbe che la gente percepisse il ciclismo come uno sport di aggregazione.
Qui non è così per ora.
Organizzare eventi del genere però agevola la collaborazione tra atleti…
Sì, c’è una parte sicuramente sociale. Anche perché queste esperienze portano a conoscere nuove persone e a instaurare legami nuovi e duraturi.
Ora concentriamoci su di te: prima di fare ciclismo facevi altro?
Sì, facevo calcio, ma mi sono rotto un legamento. Ho iniziato a fare riabilitazione sulla bici e ho abbandonato il mio vecchio sport. è nato tutto così, per caso.
Sono passato dalla fisioterapia all’agonismo in bici… Devo ringraziare il fisioterapista! Da lì ho pedalato moltissimo, partecipando a tante competizioni.
Qual è il giro più difficile che hai fatto?
Sicuramente l’Ultracycling dolomitica: sono circa 580 km e 16 000 metri di dislivello che passano per il Veneto e il Trentino. Sono 16 passi da affrontare in massimo 42h. Partecipano di solito dai 40 ai 60 iscritti. è molto difficile da preparare sotto ogni aspetto: fisico, logistico e economico.
Ultima domanda: quale percorso consiglieresti ai nostri gravellisti?
Sicuramente i Quattro Passi, poi lo Stelvio e le Tre Cime di Lavaredo.
Ce ne sarebbero moltissimi altri in effetti… Potremmo stare qui tutto il giorno!
Francesca Limardo