Ecco l’intervista sul giro di Paolo Simone. Un viaggio che ha dell’incredibile ma che comincia in modo semplice: un uomo, la sua bici, l’Islanda.
Anzitutto, qualche domanda su questa scelta così particolare: come mai l’Islanda?
Mi ha sempre affascinato per i suoi violenti contrasti: tinte calde, eruzioni vulcaniche, tinte fredde di iceberg e ghiacciai e temperature roventi dei fanghi ribollenti; correnti calde delle sorgenti termali e fredde degli infiniti corsi d’acqua che saltano e scorrono verso il mare.
I neri di rocce e sabbie laviche sono macchiati da verdi improbabili della vegetazione, che sulle mie Alpi si trova ad oltre 1500 m di quota mentre qui sono già presente a livello del mare (che meraviglia della differenza di latitudine).
Sono un appassionato motociclista amante del fuoristrada e originariamente sognavo di venirci in motocicletta, ma i costi mi hanno sempre fermato.
Sono abituato a viaggi africani veramente low cost sempre rigorosamente fai-da-te. La bici ha aggirato lo scoglio più grande: ha abbattuto i costi del turismo nel paese più caro d’Europa.
Venendo al perché di questo viaggio, devo ammettere che si è trattato di un ripiego: originariamente pensavo di iniziare un viaggio in bici sulla Panamericana che unisce l’Alaska alla Terra del Fuoco. Purtroppo ho dovuto rinunciare, ma ho organizzato il viaggio che sognavo in Islanda, cosa che mi ha richiesto meno tempo di preparazione e di anticipo nelle prenotazioni.
Quanto tempo di preparazione ha richiesto?
In tre mesi ho messo insieme tutto ciò che mi occorreva: prenotazione dei voli, acquisizione del materiale da viaggio particolare che non possedevo, documentazione sulle attrattive del posto e viabilità, e programmazione del percorso e dei tempi.
Sono stati di aiuto fondamentale il gruppo Facebook Amici dell’Islanda – Vinir Islands, blog e diari di viaggio di altri cicloturisti e il programma Ride with GPS per tracciare il percorso conoscendo distanze e dislivelli.
La preparazione in questo caso è stata un volo pindarico, che mi ha fatto sognare ad occhi aperti, ma dopo pochi giorni di viaggio mi sono reso conto che la realtà si può discostare molto dalla teoria.
I 4000 km previsti a circa 120 al giorno sono diventati molti meno a causa del sorprendente e feroce vento incontrato e del maggio più piovoso dell’ultimo secolo che ha reso impraticabili le sterrate interne che mi proponevo di affrontare.
Altra sorpresa è stata la temperatura: ho dovuto calibrare lo sforzo per non sudare (altrimenti ti ritrovi ghiacciato ad ogni sosta). Il risultato è stato di viaggiare sempre con maglie di lana Merino leggere a manica lunga, giacca Gore-Tex sfoderata e pantaloni lunghi di lycra. Il resto del guardaroba è stato solo zavorra.
Ho utilizzato più il costume da bagno del pile leggero, grazie alle tante pozze termali e alla qualità della mia tenda.
Per la prima volta in viaggio non ho toccato attrezzi e ricambi. La Teresa, così si chiama la mia bici, si è comportata egregiamente; ho solo rigonfiato due volte la ruota posteriore per aumentare un po’ la pressione.
Anche l’equipaggiamento ha funzionato a dovere senza perdere un colpo:
– 38 giorni (di cui due di viaggio aereo)
– 2 pernottamenti in ostello (di cui 1 con warmshowers)
– 11 pernottamenti in campeggio
– Tutto il resto: bivacchi in campeggio libero.
Pasti sempre cucinati col fornello o freddi, tranne una pizza e qualche porzione di patatine fritte. Il numero di caffè con latte consumati è incalcolabile.
Con Bettina Tymo e Tom famiglia tedesca reincontrata on the road, ci siamo conosciuti in campeggio a Reykjalid dove mi…
Pubblicato da Paolo Simone su Mercoledì 30 maggio 2018
Hai qualche cicloviaggiatore che ti ispira?
Francamente sono poco più che un “absolute beginner” in campo ciclistico e l’ispirazione principale viene dai miei sogni di viaggio.
Sinora ho cercato di realizzare viaggi in destinazioni che mi hanno sempre affascinato, sia per l’aspetto culturale, sia, come nel caso dell’Islanda, per lo spettacolo della natura di un paesaggio estremo.
Documentandomi e leggendo le esperienze di decani del settore ho scoperto che si possono fare viaggi impensabili a cavallo della bici. C’è chi ha abbandonato la vita comune per viaggiare a tempo pieno; ci sono esperienze affascinanti che spesso sono il risultato di single in movimento o coppie formatesi “on-the-road”.
Esperienze del genere fanno sognare ma non sono per me: ho una famiglia che rimane il caposaldo della mia vita e sta davanti ad ogni sogno ed aspirazione, quindi cerco di realizzare esclusivamente ciò che è compatibile questo principio.
Tornando al soggetto della domanda ho scoperto dei personaggi come Amaya Wilson, Joe Cruz, Nicolàs Marino, Paul Jeurissen e tanti altri che, oltre ad un carnet di viaggi in destinazioni meravigliose che fanno brillare gli occhi al solo pensiero, hanno una dialettica fluida ed avvincente che li aiuta a renderti partecipe delle loro peregrinazioni.
Le doti non comuni di artisti della fotografia, dell’improvvisazione, della genialità nella risoluzione dei problemi burocratici o tecnici: tutto questo mi affascina, più del personaggio in sé.
Non sono mai stato un gran tifoso, quanto un amante dell’azione, dello sport, dei viaggi. Fatico ad avere degli idoli, non per superbia – intendiamoci, ammiro chi mi è superiore o chi mi ispira – ma l’esecuzione è il mio obiettivo.
Secondo te qual è la caratteristica fondamentale per i cicloviaggiatori? E soprattutto, si nasce o si diventa?
Non saprei dire, primo perché mi considero un neofita, poi perché credo si possano annoverare nella categoria decine di declinazioni differenti del soggetto. Mi spiego meglio: ho avuto esperienza di lungo corso nella pratica della corsa a piedi (amatoriale sulle lunghissime distanze), dei viaggi motociclistici fuoristrada ed ora sono al terzo lungo viaggio in bicicletta: ci sono mille modi per farlo.
Cambia l’approccio fisico e psicologico (chi vive per velocità e distanze e chi non se ne cura), cambia la disponibilità economica che condiziona la qualità della vita e della bicicletta, cambia la disponibilità di tempo che detta le misure del viaggio. Tutto questo rende estremamente eterogeneo il mondo dei cicloturisti.
Forse la caratteristica che accomuna tutti è il piacere di veder scorrere il panorama a ritmo lento, tra i 10 e i 30 km orari, apprezzando cose che sicuramente a velocità superiori non riusciresti a raccogliere. In bici inoltre ci si muove in condizioni di affaticamento meno proibitive di chi gira a piedi, quindi si è più recettivi agli stimoli esterni.
Rispondere alla seconda domanda per me è più facile: io ci sono diventato, prima della pensione non ne avevo il tempo o, meglio, ero un computer abituato a casa-Stazione ferroviaria-casa da 18 anni, ma il cicloturismo è ben altro.
Devo dire che da tanto pensavo alla bici come una nuova possibilità di sport, ma non l’avevo mai considerata come mezzo di trasporto per viaggiare.
Solo la lettura di un vecchio libro in francese “Trois roues pour Tombouctou“ di Jean Naud, un ingegnere parigino che si progetta una bici a tre ruote per attraversare il Sahara in solitaria, mi ha fatto sognare la bici in viaggio.
Difficile quindi dire se, dopo una vita correndo a piedi e oltre trent’anni di viaggi in moto nel Nord Africa, sia uscito qualcosa che è sempre stato latente dentro di me o sia in corso un’evoluzione della specie “viaggiatoria”.
[In Islanda sapevo di affrontare una terra difficile, con un clima estremo e paesaggi unici, ma ciò che più mi ha sorpreso è stata la variabilità dei miei stati d’animo.
Come il tempo meteorologico islandese è soggetto a picchi estremi di temperatura, vento e precipitazioni in ogni forma fisica, così l’oscilloscopio delle mie emozioni ha seguito un diagramma estremamente variabile, che passava dall’abbattimento totale alla gioia smisurata alla comparsa di un raggio di sole. Ho vacillato tra la prostrazione fisica e la rinascita istantanea di fronte ad un incomparabile spettacolo della natura.
Non ho mai vissuto emozioni così forti e contrastanti in spazi di tempo tanto brevi. Pedalando nelle lunghe ore solitarie, mentre fantasticavo sulle cose più strane, ho pensato che se mai dovessi scrivere un libro sulla mia esperienza lo intitolerei: “L’Islanda ti scava nell’anima”].
Se volete leggere altro, Paolo Simone scrive le sue avventure nel blog Il Simoningiro.