Impossibile non sentirsi a proprio agio intervistando Peppino Cirello, ospite a Gravel-il punto della situazione in qualità di cicloviaggiatore: perché ama raccontare viaggi che ha fatto, e prendersi in giro. Sottolinea spesso come non si senta un professionista, ma ascoltandolo scopriamo che ha viaggiato molto, e che la bici l’ha portato sempre più lontano dalla sua Sicilia, fino in Belgio.
Gli abbiamo chiesto che tipo di ciclista è, come vive l’interesse sportivo in un altro Paese, e quali dei suoi viaggi avrebbe voluto raccontare.
Ne è venuto fuori un ritratto pieno di entusiasmo che merita di essere condiviso.
Come ti descriveresti al pubblico di GravelPeople?
Bella domanda! (ride) Forse sono quello meno gravel nel gruppo. Mi definirei più come un cicloviaggiatore. Però con la gravel mi diverto tanto.
Perché essere parte del team di GravelPeople?
Questa è una community efficace: permette a tante personalità diverse di poter coesistere e scambiarsi esperienze.
In GravelPeople siamo in tanti: c’è chi parla dei viaggi-avventura, come faccio io; chi scrive dei telai; chi racconta le sue gare.
In tutto questo ho riscontrato che, sebbene il mio sia un modo di fare ciclismo fuori dagli schemi, ci sono molte persone disposte ad apprezzare quello che racconto.
Perché mettersi in sella?
A me non interessa la prestazione fisica, il mio obiettivo è la novità. Per me è fondamentale non fare mai lo stesso giro, perché mi annoio.
Negli anni, le mete facili e vicine diminuiscono e le distanze da percorrere si allungano: ora per trovare un posto nuovo spesso faccio tre ore di treno prima di pedalare.
Il mio scopo non è il pedalare fine a se stesso. La bici per me è solo il mezzo che preferisco per viaggiare.
Quindi sei più viaggiatore che ciclista…
Sì. Non mi definirei ciclista. Quella è una conseguenza della mia esigenza di viaggiare.
Il viaggio per me è genetico: sono figlio di un camperista e non ricordo periodi in cui la mia famiglia sia rimasta ferma per molto tempo. Mio padre in particolare era assetato di conoscenza e mi sono ritrovato sin da bambino a fare orari militari alla ricerca di località immerse nella cultura: sveglia all’alba, ore e ore di strada e il giorno dopo si ricominciava.
Io odiavo tutto questo: ero un ragazzino a cui le chiese e i musei interessavano poco.
Ciò che di quei viaggi mi è rimasto però è l’amore per il movimento e per i viaggi on the road. Che, su una bici, diventano ancora più belli.
E oggi sono diventato quello che più odiavo da bambino: riesco a fare fino a 100 Km al giorno, ma i miei musei ora sono l’aria aperta e il verde.

E perché la bici e non un treno, un aereo o una macchina?
La macchina no. L’ho comprata e l’ho venduta dopo poco. Non se ne sente la necessità qui dove abito, in Belgio, soprattutto se si vive in una grande città. La passione per la bici è nata da quando mi sono trasferito qui, dall’Italia.
Eppure non potrei andare in bici, per un problema congenito alla schiena. Ma stare senza bici mi fa soffrire più di quanto non lo faccia il mio fisico alla fine di un viaggio. Questo è il potere della passione e della mente.
Ascoltandoti si capisce che vivere all’estero ha determinato moltissimo il tuo modo di vivere la bici. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di pedalare in Belgio?
Lo svantaggio più grande è il meteo, se non sei uno hardcore. Per il resto non ho altro di negativo da aggiungere: le ciclabili sono meravigliose, quasi strade, e i treni mi permettono di portare la bici ovunque.
Il punto è che dove abito la bici è parte integrante della cultura: è il primo mezzo a cui la gente pensa per spostarsi. Se la maggior parte dei diciottenni in Italia mira a prendere la patente il prima possibile, qui la storia cambia: non ce l’hanno, non è fondamentale. Questo grazie sia alle dimensioni che alla struttura delle città.
Viaggi per lo più da solo o in compagnia?
Solo. Per me questa è una condizione fondamentale.
Da ateo, la bici è diventata il mio santuario privato: un momento di raccoglimento e di riflessione.
Altra cosa fondamentale è la musica: non riesco a pedalare senza. Apprezzo molto le colonne sonore e il post Rock strumentale. Determinati panorami, se accompagnati con la giusta melodia, amplificano le esperienze che vivo pedalando.
Se dovessimo chiederti di raccontare esperienze passate, quale viaggi vorresti condividere?
Una volta all’anno, mi faccio un viaggio di 14 giorni in bici. Ho traslato il concetto di camper su quello di bicicletta: la mia in quei giorni arriva a pesare anche 40 chili.
Per questo genere di spostamenti tendo a variare località: un anno l’Olanda, un anno la Francia del nord, l’anno scorso la Valle di Mosella e il Reno.
Durante il resto dell’anno, invece, sfrutto i miei giorni liberi per fare quelli che io chiamo i viaggi-avventura: mi sveglio alle 6.00, raggiungo un posto in treno – che sia Francia, Olanda o Germania – mi faccio dagli 80 ai 100 Km in tutto il giorno e rientro a mezzanotte.
Ad ogni modo, uno dei viaggi più difficili è stato il primo, il viaggio dell’inesperienza. Non sapevo fare nulla, nemmeno cambiare la camera d’aria. Ho caricato le borse, la tenda e ho cominciato a vagare, andando un po’ ad intuito, aprendo qualche mappa.
Da allora il mio modo di fare viaggi non è cambiato:
scommetto sulla bellezza di un posto senza collezionare troppe informazioni prima di partire. Poi comincio la mia ciclo-avventura per capire se ho avuto fortuna, per lasciarmi sorprendere.
Quali sono i pezzi che ti hanno fatto fare i viaggi più belli?
Il pezzo in versione clarinetto tratto dalla colonna sonora di The Mission. E la parte iniziale del The Köln Concert di Keith Jarrett.
Ma per te cosa vuol dire viaggiare in bicicletta?
Rendersi conto che, alla fine, si è molto piccoli.
La distanza, quando si viaggia in macchina, aereo o treno, non si percepisce. Il viaggio in bici mi permette di rendermi conto della realtà ed è l’unica cosa che fa sentire parte di qualcosa di grande. Tutto ha più senso in bici.
Francesca Limardo