Uno Stelvio tutto bianco, uno Stelvio tutto mio

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Di Patrizia Targhetti

È da qualche anno che avevo un sogno nel cassetto, un progetto che avrei voluto realizzare.
E qualche tempo fa ci sono riuscita, tanta emozione, tanta felicità, anche se ormai è solo un ricordo e passata l’esaltazione di quel giorno ora quasi stento a credere di esserci riuscita, eppure…

Da quando un paio di anni fa ho iniziato ad usare il programma Elite Realpower con la videocorsa dello Stelvio, vedendo quelle riprese realizzate in autunno con la neve ai bordi della strada, con le montagne innevate, ho iniziato a “sognare” di riuscire a farlo veramente prima o poi. Mi sembrava un’impresa irrealizzabile per una come me, senza preparazione tecnica, senza preparazione fisica. Già è impegnativo farlo con la bella stagione, figuriamoci in inverno; eppure ogni tanto credo che dovrei avere maggiore stima di me stessa e maggiore fiducia nelle mie capacità.

Sono consapevole di non essere fisicamente portata per il ciclismo, ma per quello che piace fare a me le gambe servono fino ad un certo punto, perché “quando senti che la forza muore ci devi buttare il cuore” ed a cuore e soprattutto a testa credo di essere messa piuttosto bene.

Già con lo Stelvio bike day fatto in buona parte sotto la neve avevo portato a casa enormi soddisfazioni, salire al passo sotto una nevicata autunnale, aver “sfidato” il meteo sfavorevole quando tanti omoni erano rimasti al calduccio e non erano nemmeno partiti, incontrare pochissima gente e io “signora nessuno” salivo in maniche corte e tre quarti, lenta ma determinata.
In ottobre l’avevo rifatto, ma avevo beccato una giornata stranamente estiva per la stagione.

In novembre da qualche tempo ero insofferente, nervosa, avevo bisogno di conferme, ciclicamente la mia autostima vacilla e allora ho bisogno di darle una rinfrescata. Quale miglior posto per ricaricare le batterie se non il mio amato Stelvio? Ho iniziato a scrutare le previsioni meteo e le webcam del passo.

Un bel giorno le previsioni ottimali per il fine settimana, l’idea era di partire prestissimo al mattino, scalare il passo che aveva un bellissimo strato di neve anche sulla strada, e poi scendere e ritornare subito a casa. Non avevo voglia di preparare bagagli per me e per la iena, poi invece mi sono decisa a chiamare la proprietaria dell’appartamento che prendo in affitto solitamente, quel fine settimana era libero! Guarda te il destino a volte!
Prenoto per il giorno stesso! Finisco di lavorare, corro a casa a buttare quattro cose in valigia, carico cane, bici, borsa e parto.
Non avevo ancora nemmeno montato le gomme chiodate!! Ma non importa, ci sarà tempo una volta a “casa”.

Infatti nonostante ho beccato l’orario di punta in tangenziale arrivo abbastanza velocemente, non è un periodo interessante per i vacanzieri della montagna.
Preso possesso dell’appartamento ho tutto il tempo di preparare la bici e l’abbigliamento per il giorno successivo.

Sono emozionata: il mio sogno è ormai a portata di mano, e di ruota. Ma questa volta sono mentalmente preparata.

L’unica piccola preoccupazione che mi passa per la mente è che non ho detto a nessuno che ero partita per la montagna e soprattutto che sarei andata a fare lo Stelvio ghiacciato in solitaria. Nessuno mi avrebbe fatto assistenza e se mi fosse successo qualcosa (sgrat sgrat) mi avrebbero ritrovato in primavera con il disgelo (se va bene).

La mattina arriva presto, me la prendo con calma. Le giornate sono corte ma il versante bormiese al mattino è sempre all’ombra, quindi preferisco partire più tardi e aspettare le ore più calde.
E’ una giornata serena, e chiedere di più è impossibile. Il cielo è limpido e di un blu indescrivibile, i fianchi delle montagne invece sono dorati dai larici in veste autunnale, le cime invece sono bianchissime. Il contrasto tra l’oro e il blu crea un’atmosfera magica.

Non ho ancora praticamente imboccato la strada per lo Stelvio che già mi sento in pace.

I primi tre chilometri della salita sono sempre per me un incubo, sarà che esco di casa e la strada parte subito al 7% mi ci vuole un po’ a scaldare la gamba e il fiato.
Arrivata ai bagni vecchi ormai mi sono scaldata… anche dopo 18 scalate gli step sono sempre gli stessi.
La strada la conosco bene e so dove si potrebbero nascondere le insidie. Ma per ora salgo tranquilla. La fatica è molta, le gomme chiodate sull’asfalto pulito e non ghiacciato fanno l’effetto colla (non scorrono un cazzo sostanzialmente), ma non avendo qualcuno a supporto che possa farmi fare il cambio ruote all’occorrenza ho deciso di partire con le chiodate.


Il panorama è uno spettacolo come sempre, ma sempre diverso, immersa in tanta bellezza non sento quasi la fatica e il freddo.
La parte più insidiosa si avvicina, dalle “baracche” e per tutta la valle del Braulio il rischio di trovare ghiaccio è alto, anche nelle gallerie dove l’acqua filtra dalle rocce formando bellissime stalattiti di ghiaccio, e un insidioso strato invisibile sull’asfalto, il sole arriva tardi anche in estate, in autunno probabilmente non ci arriva proprio.
Raggiunte le baracche iniziano i tornanti e lo strato di neve ghiacciata sull’asfalto conferma il mio pensiero, il sole non arriverà quindi soprattutto in discesa occhi aperti.

Salendo piano cerco di memorizzare i punti più critici.

Lo strato di neve ghiacciata non è molto spesso e i copertoni chiodati fanno il loro lavoro, probabilmente con una certa attenzione fino ad un certo punto sarebbero bastati dei normali copertoncini da ciclocross un po’ tassellati. Non faccio tempo a finire questo pensiero che la strada diventa completamente bianca! Eh no… lì senza chiodi non sarei salita.
Cerco di salire con passo costante, senza forzare e senza sudare, anche se non me ne rendo conto la temperatura rilevata dal Garmin è di -5 quindi fermarsi all’ombra sudata potrebbe voler dire raffreddarsi. Quindi anche alle cascate tiro dritto e niente foto di rito, ci sarà tempo più avanti, infatti pochi tornanti più su è arrivato il sole, anche se la strada è ancora ghiacciata.
Alla seconda cantoniera invece il sole è già arrivato da un po’, anche se tira un po’ di vento mi fermo al sole su una panchina, qualche foto, il tempo di mangiucchiare qualcosa e riparto, la strada è pulitissima in quel punto ma la neve a bordo strada inizia ad essere interessante.

Finiti i tornanti entro nell’altopiano della terza, è sempre un’emozione per me quel luogo, mi viene sempre un nodo in gola, non so perché.

L’azzurro intenso del cielo limpido contrasta con il bianco assoluto della neve, tutto è bianco! Mai visto così, nemmeno il giorno dello Stelvio bike day a settembre, quel giorno nevicava e la visuale era ridotta.
In lontananza, immersi nel bianco, si vedono la chiesetta degli alpini e il monumento ai caduti, la mia “porta per lo Stelvio”, il mio “indietro non si torna”.
E’ proprio come nella videocorsa dei miei rulli!!! Sono qui!! Mi sembra un sogno!! Ed invece è reale!


Solo io e la mia bici. Non ho incontrato nessuno fino a quel momento. Né in bici né in auto. Il passo Umbrail è chiuso e anche il versante di Prato, la strada è aperta solo dal lato di Bormio fino al passo, ma al passo è tutto chiuso, quindi non ha molto senso andarci.
Ad un certo punto mentre sto contemplando quel luogo a me caro ma in una veste sconosciuta scende piano una macchina, alla guida un signore di una certa età. Rallenta, mi guarda incredulo, abbassa il finestrino e mi applaude! Che emozione!! Non ci sono abituata a queste cose!!

Il mio sogno ormai è realizzato! Manca pochissimo.

Mi fermo tranquillamente per fare delle foto, ormai in quella zona in pieno sole non sento freddo e posso prendermela con calma. Foto, foto, foto.

La mia adorata 666 glitterata brilla al sole e sulla neve, il silenzio è assoluto e quasi le orecchie fanno male! Questa è pace! Il mio posto è qui!

Salgo ancora, la quarta cantoniera è proprio davanti a me. La strada è ancora pulita e salgo senza fatica, pochi minuti e ci sono.
Da li al passo la strada non è per niente pulita, uno strato uniforme di neve e ghiaccio, salire con le ruotine da 35 anche se con i chiodi è davvero faticoso, mi preoccupa un po’ la discesa, ma cerco di non pensarci per il momento.
Gli ultimi tre chilometri che separano la quarta dal passo sembrano infiniti, spingere su la bici è una fatica impressionante. Ma ci arrivo, stanchina e accaldata. Appena mi fermo inizio a sentire il freddo, mi cambio al volo, selfie di rito venuti ad cazzum perché non vedevo niente e inizio subito a scendere.

I primi chilometri dal passo alla quarta sono stati impegnativi per lo strato di ghiaccio, ma devo dire che i copertoni chiodati hanno fatto il loro lavoro egregiamente.

Alla quarta sentendo le mani un po’ fredde nonostante i guanti pesanti ho deciso di usare gli scaldamani chimici, e devo dire che hanno fatto la differenza tra avere le mani congelate e le mani solo  un po’ congelate.

La discesa è lunga, anche se salendo non me ne rendevo conto la temperatura è fredda e fare 21 km in discesa a -5 non è uno scherzo. La scelta di usare la 666 con i freni a disco idraulici si è rivelata azzeccata. Pur frenando solitamente poco in discesa dallo stelvio, quel giorno i freni li ho usati parecchio e il sapere di riuscire a rallentare anche con solo un dito mi dava tranquillità. Ho scoperto solo successivamente che gli impianti idraulici possono dare problemi con temperature rigide, ma quel giorno ancora lo ignoravo e sono scesa tranquilla.
La discesa non ha dato particolari problemi, affrontata ovviamente molto piano rispetto al solito. L’unico problema è stato che nonostante l’abbigliamento pesante, nella zona in ombra in discesa ho patito un bel po’ di freddo, ma niente di insopportabile.

Arrivata a casa una doccia calda di mezz’ora ha sistemato tutto.

Ancora non mi sembra vero di averlo fatto, per qualche giorno la mia autostima ha avuto una botta di vita ma poi con il passare dei giorni e probabilmente dell’adrenalina, è tornata ai livelli medio-bassi di sempre.

Praticamente è ora di una nuova scalata… lo Stelvio chiama!!

 

 

 

 

 

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