Viaggio per Punta Larici – il racconto di Guido Crivellari

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Domenica mattina. Sveglia alle sette. Doccia. Colazione al volo. Bici in spalla, due piani di scale e corsa fino alla stazione. Alle otto sul treno, direzione Mori.

Ho studiato (e sognato) tutto il viaggio da almeno una settimana, quindi vietato “barare”.

GPS e cartine stradali sono banditi.
Alle nove e qualcosa parto come un missile, attraversando la ciclabile Mori-Riva del Garda.
Alle dieci maledico i turisti che occupano tutto il lungolago Riviano.
Dieci e mezza sono già fuori città, davanti all’entrata del sentiero del Ponale.
Ora inizia l’avventura, quindi decido di farmi un selfie inaugurale.

Il mio obiettivo si chiama Punta Larici, 907 m s.l.m. in Trentino

più precisamente sulla sponda nord-occidentale del lago di Garda, confinante con Limone Sul Garda, pittoresca località lombarda. Altro non sapevo, se non che avrei trovato quel panorama che mi aveva rapito con un’immagine su Facebook tempo addietro.

Dopo il selfie di rito, mi trovo un sentiero squisitamente Gravel. E io ho una gravel, giusto?

Non proprio. Almeno non una di quelle che siamo abituati a vedere in giro. La bici si chiama B’twin Triban 100, presa l’anno scorso per iniziare a fare un po’ di cicloturismo. Appena uscita dal Decathlon si presenta con un telaio in alluminio, forcella in acciaio, ruote a doppia parete con 28 raggi, copertoni 700x32c ibridi (da gravel, per intenderci), classici freni da corsa e monocorona da 48 con una cassetta da 14×34 dietro.
Ma la vera chicca di questo modello sono i cambi a leva. Sì, come usavano i nostri nonni. Diciamo pure una bici molto modesta.

Dopo alcuni mesi di prove, rendo conto conto che viaggiare in bicicletta stava diventando la mia passione. Dopo ogni giro divento sempre più esigente e allo stesso tempo curioso di sapere come funziona la meccanica ciclistica. Quindi, decido di montare sulla bici una tripla corona da 48-38-28: in questa maniera sento di poter salire persino sui muri. I freni, che col tempo si rivelano inadeguati, vengono sostituiti con dei pattini da V-Brake (quelli da MTB, per intenderci) in un sistema frenante da corsa. L’intuizione si rivela vincente, a costo di avere una bici che ricorda molto il mostro di Frankestein. Poi, aggiungo i copertoni Schwalbe Marathon Plus. E infine la sella: SMP Hybrid gel.
Con queste modifiche, oltre ad avere una bici che riflette il mio carattere complesso la sento mia e solo mia.

Tornando al racconto: dovessi usare una sola parola per descrivere la prima parte di questo breve viaggio sceglierei condivisione.
Condivisione, perché sia gli escursionisti appiedati e sia quelli a due ruote hanno a disposizione un cammino in comune totalmente privo di molesti automobilisti.
Condivisione, perché ad ogni tornante, oltre al panorama sempre più mozzafiato, ci si ferma per scattarsi un selfie. Ma le nostre braccia umane non sono lunghe abbastanza per catturare lo scorcio alle nostre spalle, quindi si chiede al vicino ciclista, fermatosi anche lui per lo stesso motivo, di fare una foto.

“- Can you take us a photo?
– Yes, of course.
– Thank you
– Can you make a photo me too?
– Yeah!”

Condivisione, inoltre, perché sai già che avrai una bella storia da raccontare, una volta arrivato a casa. Amici e parenti ti chiederanno dove sei stato, cosa hai visto e questo, durante il cammino, non fa altro che motivarti a non mollare mai.

Non mollare mai. Tre paroloni grossi e pesanti come un macigno. Una volta terminato il sentiero del Ponale con tutti i suoi dolci tornanti, mi trovo di fronte ad un bivio aperto al traffico. Prendendo la sinistra e salendo con un dislivello più pronunciato rispetto a prima, arrivo a Pregàsina. Pit stop obbligatorio alla fontana della piazza del paesello perché, una volta entrati nel bosco, solo la natura mi farà compagnia.

Confesso di essermi fatto qualche pezzettino a piedi negli ultimi cinque chilometri e non faccio mea culpa. La pendenza sarà anche stata elevata qui, ma camminare immerso tra la boscaglia dona quella sensazione di tranquillità e pace che spesso ci dimentichiamo nella vita di tutti i giorni.

Poco dopo eccola lì: Bocca Larici.

E già mi faccio i selfie pensando di esser arrivato, ma osservo lontano una ragazza sullo sfondo. Leggo bene il cartello lì vicino e mi accorgo che Cima Larici è un altro posto. Ed è ben altra cosa. Un centinaio di metri in salita e il divin creatore dell’universo tutto mi regala una vista impagabile.

A sinistra vedo Riva del Garda in tutta la sua piccolezza, di fronte la dorsale del monte Baldo in tutta la sua grandezza, a destra Limone sul Garda con tutte le sue casette caratteristiche e sotto – sì perché c’è uno strapiombo – vedo delle piscine e le barche a vela che sguazzano nelle tranquille acque del lago.

Non faccio in tempo ad esplorare tutto che all’una si riempie di turisti (per lo più allegre famigliole tedesche) che pranzano incuranti del panorama che li sta, metaforicamente, abbracciando.

Andare a Limone del Garda è off limits per le bici essendo troppo stretto il sentiero e quindi, a percorso inverso, mi tocca scendere. E che discesa! Qui ammetto che avrei preferito avere una vera gravel con i freni a disco.

Non che non frenassi, parliamoci chiaro! Solo che dovendo rallentare prima e, con tutte le sollecitazioni dovute al sentiero sconnesso, avrei preferito avere le mani rilassate sul manubrio invece di tenerle inchiodate alle leve del freno.
È stato divertente, devo ammetterlo, però le mie braccia non sono dello stesso parere.

Con calma, evitando di investire qualcuno, mi faccio la salitona di Nago Vecchia (niente di impossibile, solo molto lunga) e sono già di ritorno alle quattro a Mori. Cinquanta minuti dopo sarebbe passato il treno per Verona. Decido di far merenda con cappuccino, spremuta e un donut rosa, probabilmente rubato a Homer Simpson.

Una volta tornato a casa, con un sorriso stampato in faccia, non posso che aver nostalgia del Lago. Perché ricordiamoci:

Non importa quando lungo sia il nostro viaggio. Lo viviamo sempre tre volte, quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi.

Guido Crivellari

 

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